Alla scoperta della generazione Z
L’altro giorno la fruttivendola di Loreto mi ha detto: “ì parla töch adoma de otér, come se sto virus al colpires adoma otér”. Io che già faccio fatica a capire il bergamasco mi son detta … “ma voi chi poi?”. Alla fine capisco: ”oter zùen!…” Wow NOI giovani?! Lieta del complimento, non entro neanche nel merito del discorso; anzi aggiungo alla spesa un cavolfiore e dei carciofi, pago, ringrazio, mi rimetto le cuffiette e via per la mia strada.
Ancora soddisfatta, canticchiando dietro la mascherina, giro l’angolo e, ehi! riesco a malapena ad evitare di scontrarmi con un ragazzo sui 18 anni. Supero l’attimo di imbarazzo che intravedo nel suo sguardo, gli sorrido con gli occhi, quasi per dire: succede; lui ricambia ed educatamente mormora un frettoloso “mi scusi, signora …”. “Signora”, penso: non sono più la giovane donna di prima. Continuo per la mia strada e vado avanti a cantare, pensando che, in fondo, nulla come l’età è una questione di punti di vista…
Ritorno alle parole della simpatica fruttivendola: “si parla solo dei giovani…”. Forse è anche vero, ma le parole non risolvono i problemi. Si parla tanto dei giovani, della scuola, del rischio assembramenti, si parla, si parla… Ma, pensateci, nei DPCM sono proprio i giovani i veri esclusi: vi sono i bambini che vanno a scuola, le varie categorie di lavoratori con i relativi ristori, sono presenti giustamente gli anziani, inestimabile ricchezza da tutelare, ma manca una generazione: la generazione Z (quella fetta estremamente eterogenea e colorata che va dalla classe ’95 alla classe 2010), gli “invisibili” dei DPCM che, in prospettiva, rischiano più di tutti.
“Ai giovani bisogna dare di più – ha detto di recente l’ex governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi -; il rischio è che rimangano senza qualifiche e esperienze professionali. Questo potrà compromettere le loro scelte e i loro redditi futuri …”. Difficile dargli torto, ma mi piacerebbe si esaminasse il problema da una angolatura più ampia. Di sicuro non mi aspetto dall’ex presidente della BCE discorsi sulla felicità o sul migliore dei mondi possibili ma immaginare i giovani unicamente come risorse in funzione del loro reddito futuro mi pare alquanto riduttivo.
Prima di essere studenti, professionisti, lavoratori, operai sono ragazzi e ragazze che hanno bisogno di conquiste ed esperienze che non si limitino ai banchi di scuola o alle aule di università. Queste sono esperienze indispensabili e preziose, ma serve anche altro: il tempo libero, la ricchezza delle relazioni individuali e di gruppo, il confronto, la partecipazione, la condivisione. Solo così si maturano esperienze, si condividono pensieri, si emancipano i modelli culturali, ci si abitua a pensare autonomamente, ad approfondire, a progettare. I giovani ci ricorda Plutarco non sono “vasi da riempire ma fiaccole da accendere”. Ed è proprio di accendersi che hanno bisogno: di divertirsi, di sbagliare e di correggersi, di correre, di innamorarsi, di viaggiare, ridere e ballare, di conoscere e scoprire continuamente…
Allora la vita di relazione, specie se coltivata, diventa una necessità irrinunciabile, un bisogno tanto naturale quanto l’aria che respiriamo. Invece… ai tempi del covid viviamo nel deserto delle relazioni e delle occasioni.
Fortunatamente oggi ci sono infiniti modi per comunicare: attraverso i social, per esempio. Ma il cellulare oltre a non poter sostituire il contatto fisico e verbale, alla lunga stanca e innervosisce. Come andare a mangiare in un ristorante gourmet quando si ha molta fame: soddisfa solo momentaneamente il palato, ma non sazia e finisci per litigare con il cameriere.
A proposito di ristorante: una ricerca, condotta prima del Corona dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) su alcuni giovani volontari sottoposti ad isolamento, accosta il desiderio di socialità al bisogno di chi, affamato, si mette in cerca di cibo.
“Le nostre scoperte -spiega a Repubblica Rebecca Sax, autrice dello studio- confermano l’idea piuttosto intuitiva che le interazioni sociali positive siano un bisogno umano di base. Abbiamo infatti scoperto che dopo un giorno di isolamento totale la vista di persone che si divertivano insieme ha attivato nel cervello dei volontari le stesse regioni cerebrali che si mettono in moto quando a qualcuno che non ha mangiato per tutto il giorno viene mostrata una foto di un piatto di pasta”.
Quindi –attenzione, attenzione- l’aggregazione (“positiva”) è importante come la pastasciutta!… Azz che scoperta! Forse ora persino l’ex governatore Draghi si convincerà che le nuove leve non sono solo forza produttiva in funzione del PIL, ma persone degne di felicità e che le relazioni interpersonali sono alla base di questa felicità!
Ma lasciamo da parte ogni altra considerazione e chiediamoci: quali conseguenze può avere il distanziamento sociale? (termine quanto mai infelice perché dovrebbe esserci un distanziamento fisico, non sociale!). Quali conseguenze avrà questo continuo deviare i desideri, adattarli o placarli in attesa di tempi migliori? Proveremo ancora gli stessi desideri? Saranno più forti o saranno un po’ sbiaditi dall’isolamento, dalla timidezza? L’abitudine a stare soli, il quieto (o inquieto) vivere in pantofole non ci abituerà a stare alla larga dagli altri? Chi lo sa! Fortunatamente siamo tutti diversi e reagiamo in maniera differente!
Qualche giorno fa, ho mandato alle mie fantastiche giocatrici del volley Azzano (classe 2004/2005/2006) alcuni consigli di Giulia Momoli, fortissima giocatrice di beach volley e mental coach, su come “sopravvivere” al lockdown. Raccomanda una sana alimentazione, suggerisce di allenarsi abitualmente, propone di gestire il tempo da dedicare ai social e di creare una routine quotidiana, invita a cercare informazioni attendibili e a concedersi le emozioni: lasciarsi andare, ridere, piangere! Tutti bellissimi consigli, grazie Giulia.
Poi ho chiesto alle ragazze di darsi loro reciprocamente dei consigli su come “sopravvivere” a questo periodo… mi ha impressionato la risposta profonda e originale di Giorgia (2006): “in questo periodo in cui possiamo almeno uscire nel nostro comune, potremmo cercare dei nuovi posti da esplorare con occhi diversi. Come ci aveva insegnato il primo lockdown, è bene capire che le cose che sembrano scontate in realtà hanno un grande valore. In alternativa si potrebbe fare una sorta di gioco che consiste nell’andare in un luogo e bendarsi, provando a “osservarlo” con altri sensi. Questo può ricordarci quanto siano importanti alcuni stimoli che oggi saranno limitati ma che prima non avvertivamo neppure…”
Flavia (2005), invece, creativa come sempre, ci racconta che “Per sopravvivere a questo lockdown non bisogna perdere le proprie abitudini e continuare a curarsi nonostante non si possa uscire di casa. Secondo me -dice- bisogna anche cercare di continuare a socializzare e interagire con le persone e per farlo penso che il modo più semplice oltre ai messaggi sono le videochiamate. In videochiamata si possono fare diverse attività ad esempio organizzare le Powerpoint night ovvero realizzare dei powerpoint su argomenti a scelta rendendoli divertenti con immagini photoshoppate e video e poi presentarli in videochiamata. Un altro gioco che potrebbe essere divertente potrebbe essere una caccia all’oggetto: ogni settimana ci si collega con un po’ di amici e ci si mette d’accordo su un qualcosa da cercare in casa durante quella settimana (es. 5 calzini rossi) e chi raccatta più oggetti accumula punti. A fine lockdown quando si potrà, ci incontreremo e chi avrà accumulato più punti verrà premiato”.
Ispirata dalla loro fantasia e personalità, mi torna in mente una riflessione di Carrie Bradshow, personaggio principale di Sex and the city, serie televisiva a cui si ispira questa mia rubrica.
“La relazione più importante, difficile ed emozionante è quella che si ha con sé stessi”: coltiviamola!
Nella rubrica di settimana prossima entreremo ancora più nel vivo del mondo della generazione Z. Faremo un’intervista/sondaggio a centinaia di giovani atleti bergamaschi. Le domande di questo sondaggio non sono state scritta da me (che ho l’età della Maresana) ma da alcuni di loro. Chi desidera sottoporre l’intervista agli atleti della propria squadra, questo è il link : https://forms.gle/QkvJ1CVQ8qZ8jCdTA .